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Era stato trasferito in Albania, nel centro di Gjader, insieme ad altri 39 stranieri lo scorso 11 aprile in attesa di espulsione. Ma ora cambia tutto per un cittadino del Marocco, in Italia dal 2021.
La Corte di Appello di Roma, in composizione monocratica, in una sentenza di otto pagine ha disposto “l’inapplicabilità alla fattispecie in esame del Protocollo Italia-Albania”, non convalidando il trattenimento. Tradotto: il giovane non può rimanere nel Cpr di Gjader e deve rientrare in Italia. Il caso preso in esame dai giudici riguarda un cittadino marocchino che risulta in Italia dal 2021 e nel 2023 aveva ricevuto una condanna penale ed era stato espulso dalla prefettura di Napoli il 31 marzo. Nel corso della sua permanenza del Cpr la persona straniera ha manifestato la volontà di presentare la richiesta di asilo. Una iniziativa che in base alla normativa fa scattare una nuova udienza di convalida che per competenza spetta ai giudici di Roma per i richiedenti protezione internazionale.
«I giudici sono partiti da un’attenta analisi del protocollo Italia-Albania – spiega Gianfranco Schiavone socio di Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione –. Il fatto è che la persona era stata espulsa per irregolarità di soggiorno, trattenuta presso il Cpr di Ponte Galeria e poi a Gjaider (nel Cpr in Albania). L’uomo era stato condannato, aveva fatto il suo periodo di pena e poi era rimasto in Italia in maniera irregolare. Il trasporto coattivo in Albania è avvenuto senza convalida, come prevede il nuovo decreto secondo una procedura che riteniamo illegittima perché priva del controllo giurisdizionale che prevede anche la Costituzione». Una volta a Gjiader il cittadino marocchino ha chiesto al protezione internazionale. Procedura che deve essere fatta in Italia. Nella sentenza il giudice sul punto infatti afferma che “la domanda di protezione internazionale formulata sul territorio albanese, equiparato, ai soli fini del Protocollo Italia-Albania e dello svolgimento delle procedure ivi previste, a zone di frontiera o di transito deve considerarsi validamente presentata come richiesta di asilo rivolta allo Stato italiano”. In sostanza, afferma il giudice, la “valida presentazione della domanda di protezione internazionale ha mutato il titolo del trattenimento del cittadino straniero, non più finalizzato all’esecuzione del suo rimpatrio, bensì allo svolgimento della domanda di asilo”. Conseguentemente “non rientra più nelle categorie di soggetti individuati dal Protocollo” e nei suoi confronti “non sono applicabili le procedure previste”.
«In pratica – aggiunge Schiavone –era stato portato in Albania da Brindisi con lo status di “espellendo” ma poi ha presentato domanda di asilo e dunque il suo status giuridico è mutato divenendo quello di “richiedente asilo”, e come tale, secondo la Corte d’appello di Roma, non avrebbe potuto essere trattenuto nel Cpr ma aveva diritto a rimanere nel territorio nazionale». Un’interpretazione «molto interessante del testo di protocollo» sottolinea il giurista e che comunque ci tiene a sottolineare come «le espulsioni non hanno quasi mai a che fare con le condanne penali: nel nostro ordinamento l’espulsione a seguito di un reato è prevista ma solo per casi di particolare gravità e sulla base di una decisione caso per caso presa dall’autorità giudiziaria nell’ambito del procedimento penale. Ciò perché il nostro sistema giuridico prevede per tutti è che la finalità della pena sia la riabilitazione della persona».
A dieci giorni dal trasferimento in Albania degli iniziali 40 migranti è tutto un andirivieni. In tre sono già tornati in Italia: due perché inadatti al regime di trattenimento e uno perché rimpatriato. E proprio su quest’ultimo si è già accesa la polemica: il rimpatrio del cittadino bengalese, un venditore di rose in Italia dal 2009, sarebbe stato infatti su base volontaria. «Senza dubbio la procedura che si sarebbe potuta svolgere direttamente in Italia senza dover passare dall’altra parte dell’Adriatico per poi rientrare in Italia con inutile mortificazione della persona e costi altissimi» conclude Schiavone.
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