
Il giorno dell'elezione di Benedetto XVI - Dal Web
Era un martedì pomeriggio, il 19 aprile di vent’anni fa, quando alle 18.48 Benedeto XVI si affacciò dalla Loggia delle benedizioni della Basilica di San Pietro. «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II – disse il nuovo Pontefice –, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Parole che racchiudevano la gioia e la gratitudine di molti per il fatto che il successore diretto di papa Wojtyla fosse proprio colui che era stato il primo collaboratore del suo lungo pontificato, quasi trentennale, nella Curia Romana: il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, il cardinale Joseph Ratzinger.Di questo è convinto il sacerdote austriaco Hermann Geissler. Classe 1965, il teologo appartiene alla famiglia spirituale “L’Opera”. Padre Hermann ha conosciuto Joseph Ratzinger da vicino, come suo collaboratore alla Congregazione per la dottrina della fede (Cdf)a partire dal 1993. E per l’appunto era fra i fedeli che assiepavano il colonnato di piazza San Pietro il 19 aprile 2005. «Corsi con alcuni colleghi della nostra Congregazione vaticana – ci confida – per vedere l’amato cardinale, nostro ex prefetto vestito non più con la porpora rossa ma con l’abito talare bianco dei Papi. La sua uscita dal balcone ci colpì nel profondo del cuore e spinse molti di noi suoi ex collaboratori ad abbracciarci per questa sua elezione al Soglio di Pietro».Il primo incontro tra Geissler e il futuro Benedetto XVI risale al 1988. «Veniva a visitare a Roma la nostra famiglia spirituale, di cui si è sempre avvertito come un amico. Proprio in quell’anno ero a Roma per iniziare il mio noviziato...». Del suo antico superiore rievoca oggi – nel giorno in cui ricorre il compleanno di Joseph Ratzinger, nato il 16 aprile 1927 a Marktl am Inn, in Baviera – alcuni dei tratti più significativi come la «profonda umiltà, dolcezza e bontà». E osserva: «Più di 30 anni fa mi chiese di diventare un suo collaboratore. Ero allora un giovane presbitero di 28 anni, alle prime armi. Al momento dell’assegnazione di questo incarico mi impressionarono le sue parole molto consolanti e ferme: “Cerchi di rimanere semplice e umile, poi il lavoro andrà bene”». Riguardo a quegli anni trascorsi tra le mura del palazzo dell’ex Sant’Uffizio, padre Geissler torna con la memoria anche alle «gite annuali fuori porta, come si dice a Roma», come quella compiuta a Subiaco, luogo simbolo della vita monastica di san Benedetto da Norcia, con il prefetto Ratzinger e tutti i suoi collaboratori della Cdf. «Il periodo vissuto accanto a Ratzinger quando era semplice cardinale – sottolinea – ha rappresentato per me un tempo di formazione continua non solo di natura teologica, ma anche spirituale. Ci considerava come la sua famiglia». E annota un particolare sconosciuto ai più sui tratti signorili del porporato bavarese, totalmente antitetico all’immagine descritta dai media di allora, quella del “Panzer Kardinal”, un uomo duro e incapace di confronto con chi la pensava soprattutto teologicamente in modo diverso da lui: «Nelle sessioni di lavoro voleva sempre sapere il parere dei più giovani e spesso “inesperti” collaboratori anche su questioni spinose e delicate da trattare. Confortante per me è stata sempre questa sua massima: “Sa, già san Benedetto scrive nella sua regola che lo Spirito Santo parla spesso attraverso i più giovani”. Era un uomo di ascolto e attentissimo ai dettagli e con un fine senso dell’umorismo». E aggiunge ancora un aspetto degno di nota: «I testi da noi preparati e sottoposti alla firma del prefetto non furono sempre liberi da errori. Una volta mi fece chiamare e mi disse: “Guardi, qui c’è una piccola svista”. Si trattava di un errore grossolano, ma voleva aiutarmi a non essere deluso e mi regalò, in quel frangente, un libro con dedica personale».

Geissler con il Papa emerito - Dal Web
Il sacerdote di origine tirolese accenna al filo rosso di stima e amicizia che legava i due Vescovi di Roma che si sono succeduti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: «Entrambi, uno più filosofo e l’altro più teologo, si sono impegnati per la retta ricezione del Concilio Vaticano II e si sono spesi perché la Chiesa potesse continuare ad essere sacramento di salvezza per tutti. Con il loro magistero si sono fatti promotori e difensori della dignità della persona umana». Padre Geissler, che fino al 2019 ha ricoperto il ruolo di capo ufficio della sezione dottrinale della Cdf sotto la guida dell’allora prefetto, il cardinale gesuita Luis Ladaria Ferrer, ha dedicato buona parte della sua ricerca accademica allo studio del pensiero di san John Henry Newman (1801-1890), di cui proprio papa Ratzinger volle presiedere nel 2010 la Messa con il rito di beatificazione a Birmingham, in Inghilterra. «Quando dissi a Benedetto XVI, pochi mesi prima della sua morte – racconta il nostro interlocutore – che san John Henry Newman era candidato a diventare Dottore della Chiesa, mi ripose spontaneamente: “Newman Dottore della Chiesa, questo sarebbe una luce per il buio di questi tempi”».
Padre Geissler rammenta quanto sia stato fondamentale per lui la lettura di uno dei capolavori di Ratzinger, un classico della teologia contemporanea, pubblicato nel 1968, Introduzione al cristianesimo, che «mi ha permesso di comprendere il senso, la sinfonia e la ragionevolezza della fede». La mente di padre Geissler corre agli ultimi incontri con il Pontefice emerito al monastero Mater Ecclesiae in Vaticano, spentosi a 95 anni il 31 dicembre 2022. Incontri e visite – racconta – spesso organizzati e pensati per presentare a papa Ratzinger gruppi di sacerdoti, seminaristi o consacrati, per i quali «ha sempre riservato un amore speciale». Dal lungo Amarcord sul Pontefice emerito Geissler estrae ancora alcuni fotogrammi. «Ebbi la gioia di celebrare spesso la Messa con lui al Mater Ecclesiae. Compresi che questo era il vero centro della sua vita. Diceva spesso che la Chiesa non è nostra ma Sua, cioè di Gesù: viene edificata da Lui, soprattutto nell’Eucaristia. Predicava, finché ebbe le forze, ogni domenica e per le solennità». E a questo proposito aggiunge un’altra istantanea carica di significato: «In una delle mie ultime visite, era una domenica mattina, salutai il Papa emerito e gli chiesi se avesse dormito bene. Mi rispose: “No”. Allora dissi: “Santità ha avuto qualche problema di salute?”. Ferma fu la sua replica: “Ho preparato, in sogno, l’omelia della domenica”. Mi fece impressione: la Parola di Dio era così importante che permeava anche i suoi sogni».
Un lascito, quello di Benedetto XVI, profetico e attuale, a giudizio di padre Geissler, alla luce anche del suo discorso di inaugurazione del pontificato, il 24 aprile di vent’anni fa, che sarà in continuità con il suo successore Francesco. «Con quel discorso del 2005 disse di non avere un proprio programma – sottolinea il sacerdote austriaco– ma di volersi mettere in ascolto della Parola di Dio e lasciarsi guidare da lui. Lì emerse il primato di Dio, che caratterizzò tutto il suo pontificato durato otto anni. E in fondo tutto questo affiora ancora oggi nelle sue grandi encicliche come la Deus caritas est o la Lumen fidei, pubblicata da papa Bergoglio». Di qui la riflessione finale: «Sia Benedetto sia Francesco nell’esercizio del loro ministero petrino hanno cercato di trasmettere la gioia del Vangelo alle prossime generazioni, malgrado le difficili sfide di oggi. Tutto questo mi sembra l’anello che collega il pontificato di Benedetto con quello di Francesco, che ha invitato tutta la Chiesa a una grande conversione missionaria».

Una gita a Subiaco dell'allora cardinale Ratzinger prefetto della Congregazione per la dottrina della fede con i suoi collaboratori Hermann Geissler e il domenicano Augustin Joseph Di Noia - Per gentile concessione di Hermann Geissler