
La festa per l'elezione di papa Leone XIV a Chiclayo - L.C.
Per i peruviani era “la città dell’amicizia”. Così l’hanno chiamata i migranti delle Ande approdati in questo centro costiero in cerca di sopravvivenza negli anni Sessanta. E il soprannome è rimasto nel tempo, complice la non comune affabilità degli abitanti che ringraziano con aria commossa le centinaia di giornalisti sguinzagliati per le sue strade “per essere venuti fin qui”. Da giovedì scorso, però, Chiclayo è “la città del Papa”.
È scritto ovunque nei cartelli appesi ai balconi o disseminati lungo la via Balda, che conduce alla centrale Plaza de Armas. Lo dice il comandante dell’aereo al momento dell’atterraggio. E gli autisti dei bus in arrivo dal resto del Perù. Soprattutto non si stanca di gridarlo, tra risa e lacrime di commozione, applausi, musica e fuochi artificiali artigianali, la folla di centinaia di migliaia di persone radunata per la grande maratona di festeggiamenti andata avanti ininterrottamente per tutto il fine settimana. Indigeni arrivati dalle minuscole comunità rurali sparse sull’altipiano, lavoratori informali delle periferie, giovani e anziani, gruppi cattolici, parrocchie, associazioni.

La festa per l'elezione di papa Leone XIV a Chiclayo - L.C.
“Forse questa notte riprenderemo a dormire”, dice Ricardo, 77 anni - mentre mostra con orgoglio una foto di “padre Roberto”, come ancora i suoi “concittadini” chiamano papa Leone XIV. “Non per mancanza di rispetto, al contrario. Per affetto. Non mi perdevo una sua Messa. Spiegava in modo che tutti potessimo capirlo, perfino io che ho fatto solo qualche classe delle elementari”.
“Il Papa è ciclayano, il Papa è ciclayano”, strilla all’unisono un gruppo di giovani, guidati da María de los Ángeles, 17 anni. Non è questione di nazionalità, presa nel 2015 per poter essere nominato vescovo, come prevede il concordato tra Lima e la Santa Sede. Neppure di carica: gli oltre otto anni trascorsi a guidare la diocesi. Il fatto è che il pastore Robert Prevost ha saputo mescolarsi a questa terra e alle sue genti, imprimendovi un segno indelebile. Lo stesso che il popolo di Chiclayo ha impresso in lui, come dimostrato dall’affettuoso saluto in spagnolo nel presentarsi ai fedeli dal balcone di San Pietro. “È un grand’uomo. Perché sa farsi piccolo”, raccontano Margot e Daniel che lo hanno conosciuto quando il loro figlio, Emerson Lizana, ora segretario del vescovado, era seminarista.
C’è un’espressione che tanti ripetono e la cui traduzione italiana rende solo in parte l’idea: “Si confondeva con i più poveri”. Il futuro Pontefice riusciva realmente a “farsi prossimo” agli altri, a partire da chi, come il Samaritano, aveva maggiori necessità. “Voi siete testimoni di quel che ha fatto durante la pandemia”, ha dichiarato nell’omelia della Messa di ringraziamento di sabato notte sul colonnato color vaniglia della cattedrale di Santa Maria, il successore, monsignor Edinson Fanfán.

La festa per l'elezione di papa Leone XIV a Chiclayo - L.C.
L’attuale vescovo – che ha celebrato con la veste liturgica donatagli dal Santo Padre, come ha precisato – ha definito Chiclayo “una scuola di fede, di vicinanza, di umanità” per il Papa, il quale amava dire “i poveri ci evangelizzano poiché ci mostrano Cristo”. I gesti forti – la mobilitazione per la creazione di due impianti per l’ossigeno per i malati di Covid, il soccorso agli esondati di Illimo, l’accoglienza di centinaia di migliaia di migranti venezuelani in fuga dalla fame – si alternavano a una quotidianità condivisa con i residenti.
Dalla spesa al mercato alle ricette fatte insieme alla cuoca del vescovado al pranzo settimanale al ristorante Trébor, di fronte alla cattedrale, dove soleva occupare il tavolo numero 3 e ordinare capretto a pranzo e il fritto per colazione. “Chiclayo sarà sempre casa tua”, ha scritto María Del Pilar su uno striscione. “Lo aspettiamo”, aggiunge. L’invito ufficiale, ha promesso monsignor Fanfán, partirà presto.