
Il n.1 del tennis mondiale Jannik Sinner, 23 anni - ANSA
Siccome la perfezione non è di questo mondo, allora noi romantici e italici piangenti abbiamo pensato a Jannik Sinner come al ragazzo perfetto, anzi all’essere speciale, di cui avere tutti la massima cura. Ma non sta andando proprio così. Fino a tre mesi fa, ora non sappiamo, era il ragazzo acqua e sapone, il figlio, il fratello e il fidanzato ideale, per fare “il padre è troppo presto ha detto” al Tg1, ma almeno questo nessuno glie lo ha mai chiesto. A 23 anni gli chiedono di vincere sempre e comunque e rimanere il n.1 al mondo il più a lungo possibile, e questo può farlo solo lavorando come un mulo assieme alla sua tribù che balla, a bordo campo. “Una volta eravamo solo io e la racchetta”, disse tempo fa un pezzo di storia dell’Italtennis come Paolo Bertolucci. Oggi Sinner & Co. si portano appresso una squadra di 11 elementi tra allenatori, mental coach, tattici, medici, fisioterapisti, accordatori...
Un’azienda mobile in cui il protagonista assoluto ovviamente è sempre lui, il campione, l’eroe da favola, Jannik dai capelli rossi. Sta tornando il Pel di Carota del tennis, ma è un ritorno dal sapore dolceamaro, perché è un giovane uomo molto ferito dalla pubblica ottusità. E più che l’ombra del doping, quello che fa impressione è il terrorismo mediatico che si è scatenato attorno alla vicenda della sua positività. Un giallo da Porta a Porta con ricostruzione dettagliata e tanto di plastico come piacerebbe a Bruno Vespa. Per l’olimpica Pellegrini e altri illustri campioni che hanno preferito l’anonimato, Sinner è colpevole, senza appello. Del resto lo dice anche la radice inglese del suo cognome, sinner tradotto in italiano è il “colpevole”. Reo di essersi fidato del suo staff sanitario o consapevole che sia stato dell’aiutino (il Clostebol, che poi non aiuta a migliorare la prestazione), il ragazzo cresciuto nel rifugio di Talschlusshütte adesso si sente indifeso e stanato. Nei tre mesi di stop forzato per la squalifica dell'antidoping dentro “alla bolla che mi sono costruito” - confessa al Tg1 quasi fosse sdraiato in una lunga seduta dall’analista - ha pensato, forse non solo per un istante, che era già arrivato il tempo di smettere. Mentre lo dice al telegiornale nazionalpopolare confessa alla ex Sinnerland, il Paese reale, che è stato ad un passo dal game over piuttosto che dal prossimo matchball.
Così, questi Internazionali d'Italia alle porte che per lui dovevano essere delle magnifiche “vacanze romane”, quelle del ritorno alla vita normale e alla gioia di giocare, sembrano già delle sfide in cui è condannato ancora, a vincere. Vincere per convincere, che è tutta farina del suo sacco, che il talento assoluto dimostrato in questi anni da enfant prodige non può mai essere alterato o mistificato per colpa di una sostanza. Ma anche dovesse vincere il torneo di Roma e magari farlo in una finale contro l’antagonista principe, l'hidalgo Carlos Alcaraz, siamo sicuri che questo in “teleipnosi” sia lo stesso Sinner splendido splendente di 90 giorni fa? Anche Alcaraz a 22 anni (li compie il 5 maggio) alla serie Netflix My Way ha dichiarato di essere stanco di pressioni e confronti (“basta dire che sono il nuovo Nadal”) e mestamente ha ammesso: “La mia paura più grande credo sia che il tennis diventi un obbligo, perché io voglio anteporre la mia felicità personale prima di qualsiasi risultato sportivo”.
Infelici e confusi, Alcaraz come Sinner. Ma siamo certi che questo ragazzo, sul quale gli italiani hanno riposto molte più speranze che sul governo attuale, possa avere una gloriosa e soprattutto longeva carriera, come è stato per Federer, Nadal e per l’impavido Djokovic che a 38 anni (il prossimo 22 maggio) va ancora a caccia del suo 100° sigillo in carriera? Djokovic a Roma non ci sarà, questo è certo, ha dato forfait. Sinner c’è, ma ripeto: siamo sicuri che sarà il vero Jannik, concentrato e determinato ad andare fino in fondo o invece vedremo semplicemente il suo alter ego, l’amico fragile che deve combattere contro gli spettri, tipo le entità vampiresche di Sinners i Peccatori del film di Ryan Coogler? Se Sinner è un peccatore, allora anche noi tutti che lo abbiamo esaltato ed elevato a divinità ben oltre l’olimpo dei gesti bianchi siamo suoi complici e quindi dei peccatori.
Abbiamo peccato di idolatria e di pressanti aspettative al di sopra della sopportazione umana facendo perdere a questo ragazzo il senso, il gusto principale: giocare per divertirsi e per divertire noi, il suo pubblico. Che vinca la finale di Roma, Parigi o Wimbledon, adesso poco importa se non schiacciamo via, tutti insieme, questo tarlo di un Sinner sull’orlo di una crisi di nervi, pronto a rimettere la racchetta nel fodero e salutare molto prima della fine naturale del suo percorso sportivo. Da ragazzino ricordo bene i reiterati mali di vivere del n.1 di allora, lo svedese Bjorn Borg, uno che dopo le prime due minacce di addio al tennis ha davvero appeso la racchetta al chiodo a soli 26 anni. Siccome uno come Sinner ci ha abituati a tutti i record più precoci possibili, alla vigilia di questo suo rientro vengo colto da un cattivo presagio: e se decidesse di chiudere ancora prima di Borg? Sarebbe la più grande sconfitta collettiva di questo secolo. La pallina adesso passa alla terra rossa del Foro Italico. Fai il tuo gioco Jannik, d’altronde come ha detto un altro grande nevroromantico di questo sport, André Agassi: “La vita, come il tennis, è questione di tempi”.